Badia San Fedele

🎧 info-point realizzato da Anna Occhiolini, Sofia Niccolini e Martina Fani

La chiesa di San Fedele in origine era una piccola cappella dedicata a San Rocco ( protettore di Poppi). Il conte Guido Guerra IV conoscendo la fama del monastero di Strumi, riesce a mettersi d’accordo con i monaci per far trasferire una parte di questa nel suo castello di Poppi, facendo ingrandire la cappella e nell’angolo della parte sinistra , fa costruire un portico con alcune celle.

La chiesa oggi è chiamata anche Badia.

Fu edificata dall’abate Ridolfo II nel 1185.

È la più grande chiesa del Casentino ed è di epoca longobarda, fu la prima chiesa parrocchiale di Poppi.

Tra il 970 e il 980 risale la scelta come patrono di San Fedele, un soldato della Legione Tebea sotto Diocleziano presso Saint Maurice.

Il beato Torello ha un legame particolare con la Badia di San Fedele perché era la chiesa di riferimento di questo santo eremita vissuto nel XIII secolo.

Nato a Poppi nel 1202 Torello rimane orfano e per i poppesi è il patrono ufficiale del paese e lo festeggiano con una solenne processione il 16 marzo.

La pianta è Latina con una sola navata con soffitto a capriate e transetto con tre capelli rettangolari lungo la navata, separate da grandi archi bianchi e neri, una centrale con l’altare maggiore e due laterali.

La costruzione è composta in pietra forte.

Dietro l’altare maggiore troviamo il coro della chiesa e sotto quest’ultimo è presente una cripta nella quale si conserva un’urna elegante con all’interno il corpo del beato Torello.

Gli archi a tutto sesto delle cappelle, sono decorati con decorazione bicromatica.

MADONNA DEL ROSARIO E SANTI

Al centro dell’opera è collocata la Vergine, regge sul braccio destro il bambino che distribuisce rosari a San Domenico mentre la Vergine ne porge a Santa Caterina di Siena.

Quest’opera è stata dipinta da Andrea di Giovanni detto il Solasmeo, in origine era sull’altare della cappella del beato Torello.

VERGINE ASSUNTA E SAN BENEDETTO

La tela oggi è collocata nel coro della Badia, fu realizzata per la cappella della famiglia Rastrellini, distrutta negli anni trenta.

Il dipinto è dominato dall’azzurro del mantello della Vergine e del cielo, dove si eleva un vortice di angioletti con ali colorate.

San Benedetto è in adorazione alla base della colonna, che crea una quinta architettonica, che prosegue in alto con la colonna stessa e in basso, dove sono poggiati gli attributi del santo: il Pastorale, la Mitra, i Libri, che compongono una natura morta.

Jacopo Ligozzi

La tela è firmata e datata sul gradino in basso (IACOPO LIGOZZI F.1600)
Era collocata in origine nella cappella della famiglia Rastrellini, dedicata alla vergine Assunta.
Committente della tela, tramite il fratello Vincenzo, fu il padre Ambrogio Rastrellini, Abate di Montecassino dal 1599 al 1602 e più tardi Abate della Badia Fiorentina.
La cappella dei Rastrellini è stata distrutta durante i lavori nella Chiesa degli anni trenta del 1900.
Anche se firmate dal Ligozzi, la tela appare di qualità inferiore ad altre sue opere tanto da far pensare all’intervento di un collaboratore o della Bottega.
Secondo un procedimento frequente e spregiudicato, il pittore ha riunito in questa tela figure già studiate per altre composizioni. La Madonna deriva da un dipinto del 1597 per Monte Oliveto Maggiore; il generico sfondo architettonico rievoca alla lontana gli sfondi della pittura Veneta (in particolare del Veronese) già sperimentati dal Ligozzi in altri dipinti; il San Benedetto infine è molto simile alla figura del Sant’Antonio Abate dipinta l’anno precedente nella tela per la propositura di Bibbiena.
Questo disinvolto procedimento compositivo denota il limitato interesse del Ligozzi per l’incarico ricevuto dalla famiglia Rastrellini e per un’opera destinata ad una chiesa della provincia. Nel dipinto si può osservare invece con qualche interesse la natura morta in primo piano formata dal libro, dalla mitria e dal pastorale di San Benedetto, resi dal pittore con la capacità naturalistica che gli era propria (fonte: Artusca – Percorsi dell’Arte).

SANTA CATERINA DELLE RUOTE E SAN GIOVANNI EVANGELISTA

Queste due tavole si trovano nel coro ai lati dell’organo e sono opera  di Domenico Cresti.

I santi delle due tavole sono rappresentati entro due nicchie dipinte, che fanno risaltare i colori delle vesti drappeggiate, entrambi presentano gli attributi: la ruota e la palma ( per Santa Caterina) e il Vangelo e l’aquila (per San Giovanni evangelista)

MADONNA CON BAMBINO IN TRONO E I SANTI GIOVANNI BATTISTA, FRANCESCO, GIOVANNI GUALBERTO E SEBASTIANO

Antonio da Settignano detto Solosmeo

Il dipinto è firmato e datato 1527 sul piede sinistro della Vergine: “ANTONIO SOLOSMEI 1527”. Era collocato in origine sull’altare della Cappella del Beato Torello, la prima a destra nella navata. Del Solosmeo abbiamo solo poche notizie dal Vasari, che lo ricorda come scultore e allievo di Andrea Del Sarto e di Jacopo Sansovino, e come membro della stramba compagnia Fiorentina del Paiuolo che si riuniva nella bottega dello scultore rustici. Il solosmeo fu in realtà, più probabilmente, allievo di Andrea Sansovino e l’unico suo intervento Noto in scultura è per il monumento medici nell’abbazia di Montecassino. ricoldato Inoltre da Benvenuto Cellini come suo compagno di viaggio a Napoli, fu anche pittore, come è dimostrato dalla firma su questa tavola, che è però l’unico suo dipinto sinora conosciuto. In questa opera è evidente la dipendenza dello stile del solosmeo dalla pittura di Andrea Del Sarto. la figura di San Giovanni Battista è una derivazione diretta dell’affresco di Andrea Del Sarto con la predica del Battista nel chiostro dello scalzo di Firenze (1515), mentre dalla Madonna del baldacchino di Raffaello, vista attraverso le opere di Fra’ Bartolomeo e del Sarto, derivano il gruppo centrale della Madonna col bambino su un alto piedistallo ( che ricorda anche la sartesca Madonna delle arpie) e la grande tenda a padiglione aperta a coprire il gruppo sacro. rispetto al classicismo di Andrea Del Sarto e al suo morbido sfumato, il solosmeo indurisce le pieghe e le anatomie, allunga le proporzioni delle figure e raffredda la gamma dei colori, secondo Una tendenza che lo collega, pur se in secondo piano, agli sviluppi della “maniera moderna” del pontorno e del Rosso Fiorentino (fonte: Artusca – Percorsi dell’Arte).

MARTIRIO DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA

Francesco Morandini detto Il Poppi

È Raffaello Borghini che cita per la prima volta l’opera, che va quindi collocata prima del 1584, data del suo scritto il riposo. Sempre dalla stessa Fonte sappiamo che per la Badia di San Fedele, il Poppi eseguì anche un’altra tavola raffigurante la Madonna del Rosario, oggi perduta. Una guida ottocentesca ci informa inoltre che nella chiesa si trovava anche un terzo dipinto del Morandini con una assunzione, oggi non più conservata (eseguita evidentemente dopo il 1584). La conferma di tale notizia è una preziosa indicazione sulla datazione di questo dipinto, l’unico rimasto tra quelli citati, viene da un carteggio, collocabile alla metà del settimo decennio, tenuto dallo stesso artista durante un suo soggiorno nel luogo Natale con il suo protettore e benefattore Vincenzo Borghini, spedalingo degli innocenti di Firenze. in una lettera data a 12 novembre 1575 si legge infatti “ hO quasi finito la tavola a’ Frati e ho mesticato una tavola per una compagnia e ho fatto la scritta con un altro qui della terra d’una altra che va in Badia, il pezzo, medesimo dell’altra, cioè scudi settanta. E ho disegnato un rosario” . il soggetto del dipinto non è specificato Tuttavia, per esclusione, È probabile che si allude proprio a questo Martirio di San Giovanni Evangelista. Come si legge da un’epigrafe ancora esistente, L’opera è stata eseguita per l’altare del transetto destro, dove è attualmente, eretto nel 1581 da Torello laPucci e dalla moglie Fiorentina Caterina caietani. Sopra la tavola era L’ovato in stucco con dentro una Sant’Agnese, pure attribuito al Morandini, ancora visibile. al tempo in cui inizia il dipinto Oltre alle commissioni procuratevi dal suo protettore Vincenzo Borghini legate all’ospedale degli innocenti, il Poppi (poco più che trentenne) ha già al suo attivo la partecipazione agli apparati decorativi per le nozze di Francesco I del 1565 nell’ambito della Bottega Del Vasari, l’esecuzione del soffitto dello studiolo del principe in collaborazione con lo zucchi e i dipinti con la fonderia dei bronzi e Alessandro che dona campaspe ad Apelle tra il 1570 e 1571 per lo studiolo di Francesco I. in questo martirio, dove la tradizione vuole che Il Morandini nel trio femminile sulla destra abbia effigiato le sorelle e la madre, rievoca l’iconografia ideata dal Bartolomaus spranger nel dipinto di egual soggetto per la chiesa di San Giovanni a Porta a Latina a Roma ,degli inizi degli anni settanta e, nella costruzione della scena, il modello diagonale del Martirio di San Lorenzo che Girolamo Macchietti fece nel 1573 per Santa Maria Novella a Firenze. lo stile del Poppi a questa data è dunque già indirizzato verso le movenze formali e astratte del Manierismo internazionale caratterizzato da una pittura fluida e sfaldata e dà Cangiantismi cromatici “più vicini al Salviati della Sala dell’udienza che alla nuova veneteggiante lucidità pittorica e narrativa del Macchietti”. del Morandini rimangono a Poppi nella propositura di San Marco la deposizione nel Sepolcro e la pentecoste, in quella delle monache camaldolesi (o dell’annunciazione), un dipinto di ugual soggetto, e due tavole con Sant’Agostino vescovo e San Gregorio Papa (fonte: Artusca – Percorsi dell’Arte).

SAN BENEDETTO IN TRONO TRA SAN BERNARDO E SAN MICHELE

Carlo Portelli

Non tutta la critica è Concorde nell’attribuire questa opera a Carlo portelli da loro Ciuffenna, pittore di area rossesca allievo di ridolfo del Ghirlandaio, di cui Giorgio Vasari fornisce, nella vita del suo maestro, poche ma dettagliate notizie. la sua attività copre un arco di tempo che va dalla fine degli anni trenta al tempo degli apparati per le nozze di Francesco I con Giovanna d’Austria del 1565. non si conosce con esattezza la sua data di nascita, ma sappiamo dai documenti che dal 1538 furono a Firenze dove risulta iscritto all’accademia di San Luca. l’anno successivo partecipò agli apparati per le nozze di Cosimo primo con Eleonora da toledo e da allora lavorò con continuità per molte chiese conventi Fiorentini. in territorio aretino si sono conservate Inoltre le due tavole della chiesa di Santa Maria Assunta a Loro Ciuffenna con l’annunciazione e il compianto sul Cristo morto, databili alla metà degli anni cinquanta, epoca alla quale si fa risalire anche l’esecuzione della Carità del Museo di Casa Vasari. generalmente collocata nel punto d’incontro tra la cultura di formazione del portelli e l’arte della “seconda” maniera Fiorentina rappresentata in particolare da Francesco Salviati, l’esecuzione della Pala di San Fedele, dalla fine del quinto decennio, appare invece ancora attardata su modelli ghirlandaieschi per lo schema compositivo della “sacra conversazione” e la sua solida incorniciatura architettonica; allo stesso Rosso Fiorentino Inoltre rimandano le strane torsioni dei personaggi e certi bagliori metallici nei dettagli delle vesti, nelle dalmatiche, nei capelli e nella corazza di San Michele (fonte: Artusca – Percorsi dell’Arte).

Luoghi d’interesse nelle vicinanze

Illustrazione di Massimo Tosi da www.millenaria.net

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Badia San Fedele (te sei qui)

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Porta a Porrena

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Chiesa della Madonna del Morbo

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